Giovanni Segantini di Veronica di Santo
Oggi vorrei parlarvi di un artista che annovero tra i miei preferiti, GIOVANNI SEGANTINI, perchè il suo operare è chiaro esempio di quanto la tecnica sia fondamento al servizio dell’espressione, e del suo pensiero nell’arte.
L’opera scelta per la disamina, dalla quale prende spunto questo articolo, è:
GIOVANNI SEGANTINI "Ave Maria a trasbordo" Olio su tela Cm 120 x 93 anno 1886
Una scena di calma e pace, il cui soggetto principale è una famiglia di umili pastori, ritratta mentre trasporta, con una piccola imbarcazione, il proprio gregge di pecore da una riva all’altra del lago.
L’ora del giorno in cui si svolge la scena è alle sei del pomeriggio, quando il suono del campanile, in lontananza, si fa udire. L’ora dell’“Ave Maria”, l’ora del rientro, dopo una giornata di duro lavoro, l’ora dell’atteso ritorno a casa.
Ma se andiamo oltre la scena, ancor più in profondità, e proviamo a “leggere” attraverso questa rappresentazione, viaggiando sull’anima ed il cuore del suo artefice, riusciremo a vivere e a fare nostri i significati reconditi, celati dietro tale sensibilità pittorica ed umana.
ANALISI E INTROSPEZIONE
Qui la poetica è incentrata sul tema della famiglia. Come in gran parte della sua produzione artistica di SEGANTINI, la figura materna è ricorrente nelle sue rappresentazioni, quasi a colmare le dolorosissime vicissitudini della sua infanzia.
Diventato presto orfano di madre, subito dopo fu privato anche di ciò che quanto restava della sua famiglia e dei luoghi della prima infanzia. Dopo la morte della madre, infatti, a soli sette anni strappato dall’ambiente rassicurante e familiare delle montagne per essere mandato nella già allora più caotica e moderna Milano, affidato in custodia presso una sorellastra.
Senza una vera e salda guida familiare, perso e disorientato in una città fredda, poco accogliente per un ragazzino dal cuore estraneo, probabilmente rigettante nei confronti del mondo nuovo che lo circondava, con un atteggiamento via via sempre più chiuso e solitario, si ritrovò ben presto a vagabondare, un percorso che culminò con un lungo e doloroso periodo in riformatorio, durante il quale aggravò la sua condizione di carcerato procedendo in un tentativo di evadere.
Anche solo da questi eventi possiamo immaginare quanto turbolenti e sconvolgenti sentimenti si agitassero nel cuore di quello che era pur sempre un ragazzino, in tempi come quelli, dove l’Umana Pietas, la comprensione e la struttura sociale non erano ancora nate, la vita non prevedeva accomodamenti, assistenze sociali e nemmeno ammortizzatori facilitanti di nessun tipo.
Tutto il suo vissuto, nonostante la sua durezza, non è riuscito a sopprimere, nemmeno a scalfire, la sua grande sensibilità. Anzi… casomai, nelle sofferenze crescendo, l’ha aumentata. Ed è ciò che possiamo leggere nelle sue opere, senza eccezione alcuna
Nella sua visione prevale un forte senso spirituale e la ricerca agognante dell’armonia. Riesce particolarmente bene nel suo intento, trasmutando attraverso la sua pittura le fatiche del vivere quotidiano in concordanza dei sensi e del pensiero, e le difficoltà derivate dalla solitudine in sentimento amorevole e puro.
Ed è proprio ciò che possiamo leggere in questo dipinto.
A destra della scena vediamo la madre abbracciare teneramente il figlioletto, che a sua volta tende le braccia, “pretende” di ricevere amore e conforto, in un linguaggio poetico e coinvolgente.
A sinistra il padre che, remi alla mano, li conduce verso la dimora, attingendo alle ultime energie della giornata. Egli appare come raccolto in un attimo di preghiera, quasi a fermare l’istante. La fatica del lavoro e del vivere quotidiano si intravede, ma tutto ciò che il pittore vuole trasmettere è l’armonia. Prevale un senso di abbandono spirituale, un conforto interiore.
Lo stesso autore afferma, in alcuni suoi scritti, la volontà che nel suo quadro non si debba vedere la “fatica poverile dell’uomo”, piuttosto vuole che il quadro sia “pensiero fuso col colore”
Desidera che quanto il pittore vede, si debba sentire e riprodurre con” vita personale”.
Il colore deve “essere”, ed ha come mestiere quello di rilasciare, infondere in chi guarda la profonda commozione che prova l’artista, la deve comunicare, in ogni segno, in ogni gamma di colori. Per SEGANTINI, la vita dev’essere raccontata, ma soprattutto, davanti all’osservatore, il tutto deve fondersi in un unico pezzo, in una “commozione di vita vera e palpitante”.
In che modo riesce nel suo intento? In che modo realizza tutto questo nell’Ave Maria a trasbordo?
Osserviamo attentamente il cielo e le sue gamme cromatiche, e notiamo che è perfettamente indicativo dell’ora del giorno. Un tramonto luminoso, caldo, avvolgente, che esalta la tenerezza della scena, luce che amplifica e riflette le sue vibranti cromie nelle acque del lago. La stessa luce che illumina e scalda il manto delle pecore.
L’artista qui gioca con evidente sapienza tecnica, su ponderati e vivi accostamenti cromatici, come i tocchi verdastri nella penombra dei manti, in equilibrato complemento con le calde punte di arancio, restituendo all’osservatore un effetto di realismo di particolare suggestione ed indiscutibile bellezza.
Si notano gli accenni di piccoli tocchi di colore puro, l’esaltazione dell’effetto realistico e la soave ed intensa resa pittorica della luce, molte delle caratteristiche della futura pittura divisionista appaiono qui per la prima volta. Si, qui sono già visibili piccoli tocchi di colori netti, semicerchi concentrici, stesura del colore frammentata e mossa, giochi di colori complementari, insomma quegli elementi della pittura divisionista italiana* che ha dato il via ad una stagione artistica ricca di contenuti e di talenti.
* SEGANTINI introduce, a partire dal 1886, la caratteristica “pennellata divisa”, in un contesto di tradizione naturalistica, traendo spunti ed ispirazione dalle realtà rurali, vissute e conosciute durante i suoi frequenti soggiorni nei luoghi alpini. Paesaggi soprattutto, ma anche interni rurali che, nel tempo saranno sostituiti da soggetti allegorico-religiosi. Proprio questi ultimi saranno, in Europa, molto apprezzati, mentre in Italia sarà accolto con entusiasmo soprattutto l’aspetto naturalistico della sua produzione.
Ma dunque, torniamo ad osservare nel nostro dipinto a destra della scena, il bambino e la sua mamma.
I tratti somatici sono appena accennati, niente di pienamente descrittivo, ma l’incarnato del bimbo è assai percepibile, con le guance paffute e rosee in contatto con la pelle della mamma, che ci appare con occhi socchiusi, quasi ad assaporare quel momento di amore puro.
Tutta la scena circostante partecipa e gioisce di questo sentimento. Il cielo e la luce che emana abbraccia tutte le figure presenti. Sempre a destra, appena più in basso, possiamo ben notare due agnellini con lo sguardo rivolto verso lo spettatore. Di uno dei due si vede appena il musetto, ma tanto basta per notare, oltre che l’atteggiamento “curioso” di alzare il capo per guardar fuori, la dolcezza delle sue fattezze, la posizione delle orecchie rese ancor più teneramente dai tocchi rosei e bilanciati dai verdi nelle penombre. L’agnellino, dunque, lo rende proprio come lui vuole: placido, mansueto, dolce e persino un po’ curioso.
Non si arriva a rendere tutto ciò in pittura in maniera casuale. Cosa fa SEGANTINI per arrivare a tale idillio di colori e sentimento, tradurre il suo personale sentire e comunicarlo proprio come lui vuole? La risposta è semplice, quasi banale: studia. Studia tanto, moltissimo, dal vero.
Le pecore non sono un complemento, né qui, né in altri suoi lavori. Sono soggetti e sono perfettamente funzionali a ciò che vuole trasmettere.
Nei lunghi soggiorni sui pascoli, con l’album da disegno tra le mani, passava le ore a schizzare e disegnare dal vero le pecore, persino inseguendole, ora questa, ora l’altra. Si, le sceglieva persino, quelle che a lui sembravano più dotate di armonia. Cercava il modo di afferrarle e fermarle nei loro movimenti vitali.
Trovava di grande armonia le loro forme, a suo dire persino eleganti, al punto di preferire di dipingerle tosate per meglio evidenziarne i contorni. Non amava le pecore “bastarde”, perché, a suo dire, “le parti sono sempre discordanti” come si legge in una missiva a Giuseppe Pellizza Da Volpedo, quando questi, considerandolo suo maestro, gli chiese consigli su come studiare le pecore.
Studia le pecore ed il bestiame in generale, disegni a grafite, pastello ed anche inchiostro, ed è grazie a questo studio costante che le vediamo cariche di armonia, più vere del vero, soavi ed eleganti nelle forme e nelle gamme cromatiche. Non sono affatto un elemento di disturbo, non rompono l’idillio di questa scena familiare, è tutto un fondersi degli elementi e delle creature.
Numerosissimi i disegni-studio che, nella sua produzione artistica, corredano ogni opera pittorica. Carta, inchiostro, penne e pennini, pastelli, carboncino, sono solo strumenti nelle sue mani, se ne serve per catturare ogni attimo di vita che lo circonda.
Talvolta tornava sul disegno anche ad opera terminata, amava cambiare le condizioni di luce e le atmosfere, quasi come se l’opera in sé non avesse mai fine, ma carattere sempre mutevole, plasmabile nel tempo, fino a che egli stesso decideva di modificarla.
Rimaneggiava anche le opere finite e già esposte in pubblico, ed è proprio ciò che accadde a questo dipinto. Apportò delle modifiche in alcuni punti sostanziali e, partendo da un’impronta molto classica, fini per plasmarla con tocchi di colore in pieno accento divisionista. La tecnica doveva seguire il suo pensiero, non viceversa. Ma sempre e costantemente orientato alla ricerca dell’armonia, una ricerca classica. Non sarà mai una ricerca espressionista, non trasmuterà né trasfigurerà mai le sue figure in qualcosa di discordante.
Esiste e possiamo ammirare una versione ad inchiostro su carta dello studio per l’Ave Maria a trasbordo.
GIOVANNI SEGANTINI "Ave Maria a trasbordo" 1882-1883 Disegno a penna e inchiostro su carta velina beige cm 30,1 x 22,5
Notiamo che alcuni dettagli, come la postura dell’uomo, sono leggermente cambiati nel dipinto ad olio. Nel disegno ad inchiostro il volto appare più affaticato dal remare, col volto leggermente inclinato lateralmente come fosse ancora in moto. nel dipinto, con piccole ma significative modifiche, il volto diviene assorto, con lo sguardo verso il basso, come in preghiera e la posizione dei remi ci suggerisce come siano quasi immobili.
La maternità è sempre resa con calore, con grande trasporto. Si tratta di uno studio di luci, ombre e spazio compositivo, dunque un piccolo disegno, ancor meno descrittivo nei tratti somatici dei volti, eppure cogliamo perfettamente lo sguardo del bimbo perso in contemplazione del volto materno. Quello scambio d’amore tra i due esseri non lascia indifferenti, trapassa l’anima dello spettatore. Racchiude il forte senso spirituale che sempre accompagna, in comunione col naturalismo accentuato, la produzione del pittore. Una tale appassionata applicazione nello studiare e progettare, nell’imprimere l’idea proprio li, sul luogo rappresentato, scevra da orpelli inutili e prettamente virtuosistici, lo porta a generare opere di così tanta bellezza. Ed è in questo dipinto che ritroviamo una sintesi tra naturalismo ed un concetto quasi mistico, coniugando perfettamente un sentire umano e spirituale, il vissuto quotidiano, semplice, in armonia con la realtà fisica, naturale, evocando intensamente, nei gesti, nello svolgersi della scena, nell’armonia che risplende ovunque, il forte legame alla spiritualità. Il richiamo concettuale all’opera di Millet, lo si avverte a pelle.
Un istante di preghiera interrompe le attività quotidiane di persone umili, qui come nell’opera dell’artista francese. Lo scoccare delle sei di sera per “Traghetto dell’Ave Maria” di Segantini, del mezzodì per “l’Angelus” di Millet, paesaggi e contesti differenti, un filo sottile unisce le umili vite dei personaggi, dotate di animo mite, di grazia e riconoscenza per la vita ed i suoi doni.
Lo spiccato interesse di Segantini per l’opera e per la poetica del francese Millet è alquanto evidente in un’altra sua opera grafica, “Ave Maria sui Monti”, un disegno a matita, carboncino e gesso su carta, eseguito con tratti particolarissimi e distintivi dell’opera divisionista.
GIOVANNI SEGANTINI "Ave Maria sui monti" 1890 Disegno matite dure e matite colorate su carta con rialzi a carboncino e gesso cm 38 x 59
Un’ affinità tematica probabilmente scaturita da un comune sentire dei due artisti, tuttavia espressa in modalità totalmente differente. Mentre Millet, nelle sue rappresentazioni, si serve di personaggi a tratti grevi, quasi esagerandone le proporzioni all’interno della composizione, i personaggi di Segantini non risultano mai incombenti sul paesaggio, non sovrastano mai la scena, pur essendo fortemente comunicativi. Cerca ed ottiene sempre l’armonia, un’armonia circolante attraverso ogni singolo elemento dei suoi lavori. E qui lo si vede perfettamente.
L’indiscutibile meraviglia che questo dipinto suscita al primo sguardo è il risultato di un linguaggio pittorico adoperato con piena consapevolezza e grande abilità.
Sapienza tecnica, dunque, ma al servizio del proprio sentire.
Il pittore si serve dell’inganno pittorico al fine di esprimere esattamente ciò che vuole comunicare, con un linguaggio pittorico, univoco, un codice delle emozioni, e trasmette tutta l’energia vitale della propria arte.
Acqua, cielo, luce, natura e, la creatura umana, così piccola nel contesto naturale ma così dignitosa, riflesso abbagliante della forza creativa. Tutto in un solo abbraccio, in completa armonia, in un tempo che appare come per incanto, sospeso, tra cielo e terra.
Ecco, questa è la magia dell’arte.
Veronica Di Santo
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