Tecniche Artistiche:
Acquerello
L’acquerello non è per niente una scienza esatta.
Si basa sull’avere controllo o meno su acqua, colore e supporto. E di additivare i singoli medium per avere il risultato finale voluto.
Esattamente come le altre tecniche pittoriche “bagnate”, per potersi esprimere come si deve l’acquerello ha bisogno di un progetto, ben definito e realizzato, cosa che nessuno fa mai (o quasi)
Questo dipende molto dal fatto che la maggioranza degli iscritti ai gruppi artistici, o ai corsi, affronta la formazione quasi esclusivamente dal punto di vista esecutivo, non dando importanza alla qualità del lavoro, aumentandone il valore, e alla vera natura dell’Arte, che è quella, appunto, di progettare un lavoro. Ciò che i grandi maestri, tutti, dai classici ai contemporanei, hanno fatto aprendo la via ai movimenti pittorici
Accade così che anche il lavoro più semplice appare agli ignavi come cosa che si può fare in tre secondi, mentre proprio perché semplice (e quindi con pochissimi elementi ai quali appigliarsi) richiede una enorme padronanza e conoscenza della tecnica, preparatoria e pittorica
Va da sé che, come in tutte le cose, le regole basilari possono venire ignorate. E che la produzione industriale di carta, oggi, pone rimedio a molti problemi, rendendo inutili alcuni trucchi esecutivi. Ma conoscere il cammino evolutivo dell’acquerello crediamo sia importante quanto la lavorazione dello stesso, come un investigatore sul luogo di un misfatto. Ricostruendo l’antefatto, può essere che si trovi il colpevole
L’acquerello è tra le tecniche più difficili proprio per questi motivi. La pittura ad olio fu inventata (anche) per dare modo agli artisti di apportare modifiche e miglioramenti, dopo riflessioni e ripensamenti. Per far comprendere bene questo concetto spesso si porta ad esempio Monna Lisa, la Gioconda, che Leonardo creò in anni di lavoro (difatti la portò con sé, ed era alo suo fianco quando morì, ad Amboise, in Francia), con tocchi millimetrici, quasi invisibili, potendolo fare perché operava con l’olio (anche se la maggioranza delle opere partiva a tempera e finiva ad olio, ma questo è un altro discorso)
Antoine Watteau
“Figure danzanti e sedute fuori da una locanda”
Acquerello intensificato a guazzo
20 x 28 cm
L’acquerello non permette di intervenire più di tanto. E’ proprio decisivo, “tranchant”, e difatti, nei secoli, soprattutto nel 19esimo e 20esimo secolo, gli artisti si sono inventati di tutto per creare dei ritardanti per procrastinarne l’essiccamento, al fine di poter almeno arrivare ad un giorno o due dopo e poterci rimettere mano
Ovviamente, molte mestiche, sia nell’acqua che (allora) nella preparazione dei colori arrivarono a comprendere emulsioni contenenti l’olio, senza mezzi termini. Rimanevano acquerelli (sarebbe interessante approfondire quanto davvero vi siamo differenze tra le tecniche pittoriche e quanto invece siano inventate per ragioni commerciali, e forse un giorno ci arriveremo), ma si avvicinavano alle gouache, alle tempere, seppur senza imparentarsi, solo sfiorandole, per poi, magari, discostarsene un po' e ritornare più vicini alle loro origini
La qualità dei pigmenti, e la loro disponibilità in tubi e godet, ne ha aumentato la versatilità, e anche la resa. Non sono più così opachi come in passato, ma sempre tutto DIPENDE DALLA PREPARAZIONE DEL SUPPORTO, esattamente come nella pittura ad olio e in genere nelle tecniche artistiche “bagnate”
Ruskin
“Esercizio”
In questo contesto, va aperta la parentesi che vede taluni figuri avvallare le richieste degli iscritti ai gruppi e/o frequentanti corsi, per arrivare in fretta ad un risultato, qualunque esso sia. Non disponendo della sufficiente preparazione in materia, e appunto facendosi forza e onore con la fretta che “l’allievo “possiede, per cui anche il più brutto segno è pur sempre un segno, e con l’ignoranza PASSIVA E AMEBICA di coloro che li seguono, questi ignobili hanno volutamente tralasciato di spiegare praticamente tutto. E la gente, specialmente nei corsi che pagano profumatamente, impara a inzuppare il pennello nell’acqua e a fare poche cose, e solo quelle, divertendosi poi a sperimentare, per conto proprio, variazioni sul tema.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ciò che vediamo, spesso, sono orrori mal riusciti, e senza nessun senso pittorico. Perché senza conoscenza del mezzo non possono neanche venire idee e ispirazioni, e allora via di fiori, foto ricalcate con volumi appena accennati, e finita lì. Invece gli acquerelli hanno una grandissima potenzialità, se ne conosce la tecnica, i segreti grandi e piccoli, e si sa da che parte andare
PICCOLA STORIA DELL’ACQUERELLO
Sembra che non c’entri alcunché, ma l’acquerello, essendo pigmento disciolto nell’acqua più un legante, nasce… nella preistoria. Già nelle grotte preistoriche, dove sono impresse le mani dei nostri antenati, (tipo la Cuevas de la Manos, in argentina) il concetto di acquerello, se vogliamo era già presente. Il pigmento era la terra, e poiché veniva messa in bocca e poi spruzzata sulla mano appoggiata al muro (in modo che togliendola rimanesse l’impronta bianca contornata dal colore della terra)
Questo è stato possibile (così come il fatto che durasse millenni) perché nella saliva è presente sia il medium “di trasporto” del colore, cioè quello con cui veniva miscelato, sia il fissativo
Grazie alla nostra incredibile Veronica di Santo, siamo in grado di spiegare, per coloro che fossero interessati, come avveniva il processo. Quindi, lasciamo parlare lei.
Veronica di Santo
La saliva è un liquido IPOOSMOTICO* costituito per il 98-99% di acqua e il restante 1% da sali minerali, immunoglobuline, proteine varie, tra le quali enzimi (principalmente amilasi e lisozima), ed una MUCOPROTEINA detta MUCINA, che è MUCOPROTEINA con azione lubrificante e protettiva, formata da gruppi oligosaccaridici legati con amminoacidi di serina e di treonina.
La sua natura chimica ne fa una componente estremamente IDROFILA, cioè in grado di trattenere molta acqua.
La funzione della mucina è di rendere altamente VISCOSA la saliva, permettendole grande adesione alle pareti delle mucose (cavo orale, esofago) per questo svolge un ruolo importante di protezione e riduzione dell'attrito dato dalla masticazione ed ingestione degli alimenti
*IPOOSMOTICO: Ha una pressione osmotica inferiore a quella del sangue e delle cellule perché meno ricca di elettroliti”
Questo esempio è stato volutamente introdotto perché dobbiamo proprio partire dal concetto di PIGMENTO + LIQUIDI TRASPORTANTE + ELEMENTO INCOLLANTE, che sta alla base di tutte le tecniche pittoriche liquide (ma non solo), fondamentale per comprendere bene tutte le fasi successive e susseguenti
Detto questo, possiamo dire che la pratica si è evoluta, e ha raggiunto discreti livelli presso gli egizi, così come la pittura ad olio, perché gli Egizi avevano grande bisogno di decorare in maniera spirituale e sacra diversi materiali (pietra, legno, lacche, tessuti, etc.) e quindi dovevano avere il mezzo giusto per la decorazione giusta. E a seguire cinesi, nativi americani, etc., etc.
James Jaques Joseph Tissot - Gesù insegna al popolo in riva al mare (Acquerello rinforzato al guazzo)
UN CUGINO LONTANO: IL BISTRO
Il famoso bistro, oggi usato per indicare più materiali, era il nero che gli Egizi usavano per contornare gli occhi e difendersi così dalle infezioni (e il parallelismo continua: ancora oggi alcune case produttrici di articoli di Belle ARTI producono prodotti di bellezza, e le matite per gli occhi sono uno dei medium più versatili in assoluto. Ma questa è un’altra storia). Il bistro, il moderno kajal, era composto da polvere di galena e veniva mescolato con grassi, resine e linfa di Sicomoro, per tracciare una linea nera sulla palpebra donando agli occhi uno sguardo magnetico e sensuale. Si trattava di un trucco dalla duplice valenza: estetica e antibatterica (grazie alle proprietà del Sicomoro), che veniva usato soprattutto dalle donne e dai bambini.
Egizi - Trucco nell'Antico Egitto
Citazione (ridotta) da Wikipedia: “Il bistro (o fuliggine stemperata) è un pigmento organico, di tinta cromatica giallo-bruno, utilizzato sin dai tempi antichi nella pittura. In origine era preparato dagli artisti stessi, con comune fuliggine mesticata con acqua e sostanze addensanti naturali. Dalla diluizione deriva la capacità coprente del pigmento, che può variare da molto leggera a mediamente coprente.
Poiché può essere facilmente reso poco coprente, è stato molto apprezzato nella cosmesi, nelle opere ad acquarello o ad olio, mentre data la sua natura poco resistente non si presta all'uso in affresco o tempera.
È stata una tecnica molto amata dal Guercino e da Rembrandt, e andata in disuso sulla fine del XIX secolo.”
L’ACQUERELLO SI TRASFORMA E DIVENTA FAMOSO
Dal 1400 in poi iniziò ad essere tecnica preferita da alcuni Maestri, tra i quali DURER, che lo usò frequentemente per riprodurre le sue immagini di studi naturali, fossero schizzi a penna o appunti di viaggio.
Durer - Primule
Poi, due secoli più tardi, furono presi in considerazione anche dagli olandesi, ed infine toccò, il secolo dopo, agli inglesi (TURNER su tutti) che fondarono anche un’associazione dedicata, la Watercolour Society
Un altro grande esponente fu l’inglese RUSKIN, con i suoi appunti di viaggio magnifici
Ruskin - Fondaco Dei Turche Venice from Studies in both arts
Ruskin - Abbeville Church of St Wulfran
Ruskin - Le Pietre di Venezia
In Francia fu usato fino alla metà del 700, da artisti del calibro di FRAGONARD, WATTEAU E BOUCHER. DELACROIX lo usava molto per schizzare, mentre COROT per ricercare gli effetti di luce
Jean Onorè Fragonard - Capriccio: Excavation of Roman ruins
In Italia arrivò tardi, alla metà dell’800, e per primi lo usarono i Napoletani, con GIACINTO GIGANTE
PICCOLI CONSIGLI SUGLI STRUMENTI
In realtà non vi sono molti consigli da dare, se non quello di vedere la cosa dal punto di vista del controllo dell’acqua, sia in fase di preparazione che di pittura. Questo è il lato fondamentale da comprendere, mentre il resto è come sempre lasciato al gusto personale
Tralasciando la tavolozza, che va dal semplice piatto al vetro, è importante dire qualcosa sui pennelli
Nell’acquerello non servono moltissimi pennelli, ma innanzi tutto vanno divisi in due categorie, e cioè quelli destinati alla pittura e quelli invece destinati allo sfregamento per rimediare ad eventuali errori
Quelli da pittura andranno scelti ovviamente secondo gusto personale, grandi se si opera con molta acqua e sfumature, piccoli se ci si dedica ad un lavoro con colori meno diluiti e sfumature. Come detto, non ne servono molti, ma TUTTI i pennelli devono essere pulitissimi. Per dipingere, a seconda del modo di operare personale, potranno limitarsi a tre o quattro, mentre per le lavature ne potrebbero bastare due, uno medio e uno più grosso, ovviamente piatti
L’importante è che siano di qualità alta e morbidissimi, per non “offendere” la carta, e modulare l’intervento
C’è chi consiglia di prenderli tondi e addirittura di tagliare le setole per renderli ancora più duri. Secondo noi è scelleratezza allo stato puro, ma non commenteremo oltre, lasciando le nostre riflessioni personali solo per noi. D’altronde, de gustibus non disputandum est, e se qualcuno vuole seguire quella via, liberissimo di far come crede
Un altro elemento indispensabile è la carta assorbente, che, come dice il nome, assorbe l’acqua in eccesso non solo dalla carta ma anche dal pennello o eventuali sbavature sul lavoro, mentre per i colori va bene uno straccio pulitissimo o una spugna morbida, che, come detto, tamponando gli eccessi di carico di acqua e colore non “offendono la carta”
Una pietra liscia, come l’AGATA, o un brunitoio, servono per comprimere nuovamente la parte di carta dove si è intervenuti raschiando via il colore o l’errore, ricompattandola. Tale metodo serve anche per ottenere zone di colore chiaro, o luce, e ricompattando la carta fa si che non assorba troppo il colore
Comunque, qualsiasi strumento dalla superficie dura e lisca è adatto allo scopo
LA PREPARAZIONE DEI SUPPORTI E LORO SCELTA
In molte tecniche, oggi, si prendono supporti già pronti. In linea teorica, sono più comodi, più pratici e pronti all’uso, e dovrebbero essere indicati per la destinazione d’uso per la quale sono nati.
Nella realtà, praticando, si dovrebbero affinare molti aspetti, e definire molte scelte sempre più rispondenti al proprio gusto personale e alle proprie scelte esecutive. Questo vale per ogni tecnica pittorica, ma in particolar modo per le tecniche bagnate (anche se la tecnica a mio avviso regina, il pastello, deve seguire le stesse identiche regole)
La scelta dei supporti è la principale voce che va ad interessare la costruzione dei lavori. La seconda sono gli sfondi. Spesso le due voci si uniscono, nel caso in cui il supporto sia nato già con le caratteristiche di sfondo richieste.
L’acquerello, essendo alla fin fine pigmento disciolto in acqua, trattata o meno (tutte le tecniche pittoriche bagnate, come gli acrilici, gli alchidici, la pittura ad olio, le chine, gli inchiostri, la gouache, la tempera, gli smalti variano a seconda di quanto cambia la proporzione tra pigmento e medium liquido, al di là del materiale e della sua composizione, comunque importante e definitiva dei connotati della pittura allo stadio finale) può essere usato su molteplici superfici: avorio, pergamena , seta, vetro, sopra supporti trattati a gesso e resi impermeabili, anche con l’uovo (elemento previsto e usato in quasi tutte le tecniche artistiche) e anche sulla pittura ad olio con l’ausilio del fiele di bue
Ad esempio (e ne vedremo degli esempi dopo) nell’acquerello non è affatto detto che lo sfondo debba essere bianco, anche se nella maggioranza dei casi vien scelto così
Tissot - Cosa vide Nostro Signore dalla Croce
Come sappiamo, le voci importanti di un supporto, in questo caso per l’acquerello, sono la grammatura ed il peso. Per meglio dire, come spiega G. ronchetti, “la bontà della carta dipende tanto dal peso relativamente al suo spessore” (quindi la sua densità, come nel compensato), e dal tessuto e grana della sua superficie. In parole povere, bisogna tenere conto della grandezza del foglio, della sua densità (altrimenti il foglio grande, se troppo sottile, si piega, si imbarca e non regge l’impatto con l’acqua) e della sua superficie
Leggiamo molto spesso di artisti che preferiscono una carta piuttosto che un’altra, artigianale o meno, pressata o meno, e così via. E sono comunque scelte giuste. Ma si tratta di decidere tra quanto disponibile in commercio, e che può, talvolta, non essere accessibile per tutte le tasche.
I supporti “self made” possono essere molti, più economici, altrettanto validi, e trattati, ma partiamo dal più semplice: la carta
Noi possiamo trovarci davanti a tre tipi di carta: liscia, semi ruvida, ruvida
La ruvida, con una superfice irregolarissima, contenente “avvallamenti” più o meno minuscoli, può contenere, per questi motivi, molto più colore, arrivando a rendere una superficie pittorica più brillante e stabile, richiedendo però una velocità di esecuzione maggiore e pochissimi ripensamenti
Questa proprietà diminuisce nella semi ruvida, ed è quasi inesistente nella carta liscia. Per questo la carta liscia è più indicata per lavori che contengano miniature e dettagli, mentre più saliamo di ruvidezza e meno dettagli potremo fare, a favore di maggiori sfumature e carichi di colore.
C’è anche da dire che più saliamo di ruvidezza meno controllo, già di per sé scarso, possiamo effettuare su acqua, pennello e colore; quindi, la carta molto ruvida richiede una maestria e una velocità esecutiva che di solito si acquisisce con l’esperienza
Però solo questi aspetti non bastano. Come in tutte le tecniche pittoriche liquide, un’altra voce che lavora in contemporanea con la ruvidezza della carta è la sua porosità, ovvero la sua assorbenza. È un fattore che l’artista praticante è abile sceglie e decide prima di iniziare il suo lavoro. E non sempre può decidere tra quanto trova in vendita; quindi, sapersi preparare il supporto inizia ad essere fase importante.
Poi, sempre in funzione del lavoro, bisogna considerare il medium (che, ricordiamolo, è termine che non designa il prodotto in sé, ma il legante e i liquidi usati per trasferire il colore sul supporto e lavorarlo) che useremo. Spesso si usa solo l’acqua, ma sia l’acqua nel contenitore che quella usata per sciogliere eventuale pigmento può essere addizionata con vari ingredienti, anche in questo caso per ottenere gli effetti voluti. Ad esempio, se usiamo integrare uovo (una delle due parti, tuorlo o albume) solo nell’acqua del contenitore otterremo certe specifiche, mentre mescolandolo solo nel pigmento ne otterremo un altro.
E mischiandolo in tutti e due gli elementi otterremo effetti finali ancora diversi. Così con la gomma arabica, il miele, lo zucchero l’allume, e l’olio… si, avete letto bene: l’olio, emulsionato, che in passato è stato usato per permettere agli artisti di poter ritoccare i loro lavori. Oggi queste soluzioni esistono in forma commerciale, ma garantiamo che facendo in proprio NON si ottengono gli stessi effetti finali
Quindi l’acqua offre una gamma di effetti che si sommano a quelli della carta che ne offre altri, e tutto l’insieme contribuisce ad arrivare ad un certo risultato. Cambiando uno dei fattori, il risultato finale si modificherà anch’esso, più o meno impercettibilmente
Basta così? No. Ovviamente entrano in gioco anche i pennelli, di varia fattura, misura, ma soprattutto materiale e morbidezza, che contribuiscono anch’essi a cambiare le carte una volta di più
ALCUNI ELEMENTI CHE SI POSSONO ADDIZIONARE ALL’ACQUA, NELLA PREAPRAZIONE DELLA CARTA, E/O NEI COLORI
ALLUME. È una soluzione che dimostra gli anni che ha, e che serviva a preparare la carta, soprattutto fungendo da “stucco” per eventuali guasti o imperfezioni della carta, o da surrogato lontano parente dell’imprimitura usata nella pittura ad olio. Dav a più brillantezza ai colori (ma oggi i colori sono già abbastanza brillanti così), e come detto risanava la carta. Anche nella stoffa, veniva usato disciolto nell’acqua (è un sale astringente) passandolo sul retro del tessuto. Si acquista in Farmacia.
UOVO. Descrivere le qualità e funzionalità dell’uovo in pittura richiederebbe un tomo solo per questo argomento. Salva, rimedia, crea fondi e ha una quantità di altre finzioni. Basta pensare che nella storia dell’Arte almeno il 70 % (secondo chi scrive la percentuale è assai più alta) partivano a tempera, e spesso era tempera all’uovo, creata in una quantità di ricette secondo referenza
Nell’acquerello si usa più frequentemente la chiara, o albume, che una volta mischiato all’allume serviva a preparare il fondo del legno. Ma in realtà si usa tutto l’uovo, a seconda degli usi, e passato su determinati tipi di cartoncino crea dei supporti rigidi e molto adatti per acquerelli che si spingono più verso il dettaglio.
GLICERINA. Funge da “olio”, ritardando l’asciugatura dei colori (che comunque rimane rapida) e permettendone il ritocco. Si mischia all’acqua del contenitore, ma è bene non esagerare nell’uso di tale prodotto, che però ha parte da regina in tutte le tecniche che prevedono inchiostri, tempere, e similari. Anche in emulsione nell’io, ma questo è un altro discorso
ALCOOL PURO. Al contrario della glicerina, sempre disciolto nell’acqua del contenitore, finge da essiccante rapido
GOMMA ARABICA. Altra soluzione regina in più di una tecnica. Va sempre mischiata all’acqua del contenitore (ma anche nella preparazione dei fondi è eccezionale), e si può aggiungere qualche goccia di olio di lino o fiele di bue per evitare che una volta asciutta, magari screpoli, unico inconveniente a cui va assoggettata
FIELE DI BUE. Questo ingrediente ha una grande versatilità, ma deve essere usata con parsimonia. Nei tempi passati si usava anche come vernice finale, ma tende ad imbrunire e alla lunga può causare effetti nocivi
In linea di massima è un rafforzante, con maggiore solidità, brillantezza, e adesione se mescolato al colore
Di sicuro, essendo usato per far aderire materiali diversi tra loro (magro su grasso) ha proprietà fissanti. Unito a gomma arabica e magari glicerina permette di dipingere ad acquerello su vetro, e evita che adoperando troppa gomma arabica i colori a lungo andare si screpolino
Sgrassa come un sapone, e viene usata per dipingere ad acquerello o tempera sopra i colori ad olio. Su alcuni volumi viene detto come ad esempio TURNER (ma certamente sono solo lui, e secoli prima) iniziasse i suoi lavori ad acquarello, poi fissati con una mano di fiele di bue, continuati ad olio, e una volta asciutti rifiniti nuovamente ad acquerello, dopo aver passato un’altra velatura a fiele di bue
Ma va sempre usato con parsimonia
QUANDO LA CARTA SI INTELAIAVA (PROPRIO COME UNA TELA) O SI INCOLLAVA SU TAVOLA
Molti anni addietro, la carta non veniva usata così, ma per qualsiasi lavoro artistico subiva una lavorazione
Era molto, molto meglio. Le conoscenze che si acquisivano lavorando i materiali erano infinite, così come le prove e le scelte, e con il tempo si acquisivano conoscenze e esperienze che, messe a confronto con il procedere di oggi, sono (o sembrano irraggiungibili). E spesso non si ha voglia di affrontare questo campo, questo settore della lavorazione artistica, ben più importante della parte pittorica stessa.
Ed è un peccato, perché la resa e le possibilità esecutive offerte dal conoscere e sperimentare sono di una valenza assolutamente cristallina
Ad esempio, la carta, di qualsiasi tipo, veniva spesso intelaiata, cioè messa su telaio. Chi scrive ne ha fatto esperienza diretta, e il quadretto è perfettamente integro e tirato come la pelle di un tamburo dopo orami quasi vent’anni (e stiamo parlando di comune carta da disegno, sia chiaro, su un telaietto autocostruito con i listelli acquistati in un Brico)
Come si procedeva? La carta scelta veniva posta in piano, con la faccia giusta (il fronte) che poggiava sul piano del tavolo, e il recto rivolto verso di noi. Poi con un pennello morbidissimo o una spugna si imbibiva d’acqua, dopodiché’ la si avvolgeva modello sandwich in un telo bagnato, lasciandola così per un po' di tempo (mezz’ora più che sufficiente) perché fosse sicuro che assorbisse l’acqua che serviva. Il Ronchetti suggeriva, per vedere se l’assorbimento era giusto, di provare a piegare dolcemente un angolo del foglio: se faceva resistenza e tendeva a tornare alla sua posizione originale il foglio non era abbastanza bagnato, almeno non fino in fondo. Se invece fosse rimasto in posizione, sarebbe stato imbibito al punto giusto
Questa era una fase importante della lavorazione: se poco bagnata, la carta, lavorandoci sopra, si sarebbe imbarcata ricevendo acqua e colore, rovinando il lavoro. Troppo bagnata, si sarebbe rotta montandola sul telaio.
Teniamo a precisare che questa operazione si può fare anche oggi, con le carte già pronte, e che anzi siamo dell’opinione che in più di un caso ne trarrebbero giovamento ne trarrebbero giovamento
Dopodiché, facendo bene attenzione a maneggiare la carta (ogni minima scalfittura, anche provocata da un’unghia, con la carta bagnata può risultare invisibile, ma a carta asciutta, andandoci sopra con il colore, si vede, e anche bene), si pone sul telaio o sulla tavoletta, incollando con colla o gomma arabica una striscia di circa 2 cm lungo il bordo del foglio, e posandola sopra
E’ consigliabile poi mettere una tavoletta sopra al telaio o alla tavoletta con la carta, magari interponendo carta da cucina, e sopra la tavoletta un peso, in modo da fungere da pressa, per evitare l’imbarcamento del supporto e favorire l’espulsione dell’acqua in eccesso. Dopo alcuni giorni, rivoltando spesso la tavoletta superiore (tre o quattro volte al giorno), meglio potendone usare almeno due, così mentre una è sull’altra asciuga dall’umidità raccolta), fino a quando la carta non è perfettamente asciutta (meglio aspettare un giorno in più che un giorno in meno), e così il suo supporto.
A fine lavoro, avremo una superficie pronta per sopportare tutta una serie di lavorazioni, e che renderà i lavori assai brillanti
Un altro modo di preparare la carta è procedendo al contrario. Si incollano i bordi ella carta su telaio o tavola, poi, una volta asciutta la colla, si bagna bene la carta, e la si lascia asciugare come sopra, sempre sotto pressa. Anche in questo caso, una volta asciutta, la carta risulterà tirata e pronta a ricevere le lavorazioni
Queste procedure però non sono adatte a chi non ha passione o a chi invece ha svogliatezza. Affrontare procedure delicate così, tanto per provare, con imprecisione e superficialità, porta solo a perdere tempo, soldi e a incolpare gli altri mentre i responsabili siamo noi
Le azioni da compiere vanno eseguite con massima delicatezza, perché se è vero che dobbiamo rimediare all’errore, è altresì vero che l’obiettivo primario è non rovinare la carta. Ciò perché, oltre ad evitare che si sfaldi e mostri segni irrimediabili in pittura, si possono creare zone nelle quali il colore viene assorbito in maniera diversa rispetto al lavoro (addirittura passando da parte a parte, e questo vanifica il lavoro
PREPARARE IL DISEGNO
La matita è dura, sempre, rispetto al foglio. Che la carta sia bagnata o no, la punta della matita scava letteralmente nella carta, ed anche se qualcuno sostiene che negli acquerelli è bene che si veda il tratto della matita, è sempre bene andarci molto leggeri per evitare, appunto, che la punta, per quanto morbida (e non può esserlo troppo, perché la grafite si posa sulla carta, non viene assorbita e se troppo grassa addirittura diluisce con l’acqua, “sporcando” l’acquarello) tracci dei veri e propri solchi che, colorando, risultano come graffi
Un trucco funzionale è fare il disegno su carta opaca e poi trasferirlo per pressione sulla carta intonsa, o usare, con mano leggera, la CARTA GRAFITE, sorta di carta carbone che al posto della materia grassa inchiostrata ha una faccia ricoperta di grafite chiara, e quindi il segno non potrà risultare troppo pesante. Viene usata anche in pirografia, per non sporcare il legno e soprattutto il bruciatore, perché troppa grafite creerebbe uno spessore, anche minimo, tra bruciatore e legno, alterandone gli effetti
Per cancellare MAI usare gomme dure, ma gomma pane (anticamente si usava la mollica di pane, ed in certi casi ancora funziona)
LAVORARE SUL BAGNATO
L’espressione parrebbe ovvia, cioè che nell’acquerello bisogna lavorare sul bagnato. Quello che forse è meno conosciuto è che la cosa andrebbe ripetuta PRIMA di ogni fase lavorativa. Anche non volendo intelaiare la carta, quest’ultima va comunque bagnata, con carta assorbente a togliere dubito l’acqua in eccesso. Questa dell’acqua è una “rogna” alla quale bisogna porre attenzione, e che bisogna imparare a dosare. Troppa acqua rovina il lavoro, imbarcando il foglio, troppa poca non permette di creare le sfumature volute.
Una volta asciutto il primo strato pittorico (operando correttamente su carta di grammatura giusta, e senza esagerare), prima di effettuare il secondo strato pittorico sarebbe bene inumidire nuovamente la carta, e tamponare con panni bianchi e molto puliti, salvando la carta, per dare modo al secondo strato pittorico di lavorare in libertà quasi quanto il primo
Intelaiando la carta come detto, quest’ultima manterrà la sua umidità più a lungo. Ma anche ponendo il foglio di carta su un vetro, l’effetto umidità resiste. Ovviamente bisogna porre attenzione e, se il lavoro richiede tempo, ogni tanto staccare il foglio dal vetro per evitare che vi si incolli e poi riposizionarlo delicatamente
COME SI CORREGGONO GLI ERRORI
Per rimediare agli errori fatti in fase di pittura, o per recuperare delle parti in luce non riuscite come dovevano, qualsiasi rimedio si usi si devi comunque “lavare” la parte di lavoro interessata. E cioè (ecco anche il motivo per cui la carta deve essere pesante e ben stirata) si bagna nuovamente la zona con l’errore, e con una spugna, una pelle di daino, o materiale equipollente si raschia via il colore senza rovinare la carta. Dopodiché con un oggetto liscio e rotondo (un mattarello piccolo di legno, uno stenditoio e similari) si schiaccia bene la carta, comprimendola. Una volta asciutta, si ritorna sopra la ziona con il colore, misurando diluizione e intensità della tonalità, per armonizzare l’intervento con quanto fatto in precedenza
Va però detto che sono casi rari: un buon progetto, con le idee chiare e un disegno preparatorio, per quanto fine e sottile, di solito evita anche il più piccolo errore, e tutta la rognosa trafila per rimediare
USARE L’ACQUERELLO
In definitiva, come detto più volte, si tratta di portare rispetto alla carta, e di intervenire il meno possibile sulla parte dipinta
E se si rende necessario intervenire, lo si fa comunque portando rispetto alla carta
Quindi un supporto preparato offre sicuramente più garanzie in caso di raschiature e lavaggi rispetto a carte tradizionali preparate industrialmente o quasi, le quali, però, raggiungono una brillantezza che anni fa era impensabile avere. E in caso di lavori contenenti luci forti è senz’altro un bel vantaggio
Ognuno può procedere come vuole, e continuare a lavorare come ha sempre fatto, tutte le scelte sono legittime. Noi ci limitiamo a proporre i vari passaggi, in linea di massima
Quindi i passi sono i seguenti:
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Scegliere il soggetto, l’inquadratura, con che luce o meteo “fotografare” quanto va riprodotto, e studiare come riprodurre la composizione
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Scegliere il tipo di supporto sul quale lavorare: carta, cartoncino, vetro, stoffa, legno, e chi più ne ha più ne metta, e nella misura corretta per la composizione esatta del quadro
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Preparare, se necessario, il supporto come merita per ricevere degnamente il colore
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Riportare il disegno sul supporto scelto, badando bene che non rovini la carta, tracci solchi o quant’altro
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Fissare il disegno con vernice apposita, preparata industrialmente, o miscela preparata secondo i propri gusti
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Sempre secondo i propri gusti, addizionare eventualmente l’acqua del contenitore con gli elementi preferiti
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Procedere con il primo strato di pittura, e se ne è previsto un secondo lasciare asciugare bene il primo. Se non incollata su tavola o intelaiata, la carta deve essere fissata bene e su supporto che ne mantenga stabile l’umidità.
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Controllare la quantità di liquido usato, e non far macerare la carta o evitare che assorba in maniera ineguale, il che rovinerebbe irrimediabilmente il lavoro
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Se il lavoro prevede un secondo strato di pittura, assicurarsi che il primo sia assolutamente asciutto e velarlo con un fissativo per evitare che con la seconda passata il colore del primo strato pittorico si sciolga
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E’ ottimo per iniziare anche pitture ad olio e ancora di più per iniziare abbozzi monocromi per poi continuare il lavoro a olio o pastello secco
Ricordare bene che l’acquerello non vorrebbe vernice finale, per non falsare le sue tinte, ma in caso debba essere esposto in ambienti con condizioni ambientali estremamente aggressive (fumo, unto, polvere, sporcizia in generale) si può dare una vernice finale per l’acquerello, comperata già fatta o composta in casa, che pur alterando il quadro (talvolta impercettibilmente, dipende dalle tinte) lo preserva.
Ovviamente, in caso di supporto non trattato anche sul retro, il lavoro deve essere incorniciato e chiuso anche sul recto, per evitare di essere protetto solo davanti ma lasciandolo vulnerabile agli agenti aggressivi esterni, appunto, sul recto
E come tutti i lavori artistici, bisogna assolutamente evitare di esporre i lavori in ambienti umidi, per evitare muffe (e l’acquerello è la prima vittima di questi effetti, essendo la pittura più delicata “di salute”), sbalzi termici (mai sopra o vicino a caloriferi, stufe e quant’altro), ovviamente mai esposizione diretta al sole. E nel caso non si osservi nessuna di queste precauzioni, sebbene taluni consiglino – data la vernice protettiva – di lavare il lavoro normalmente con acqua e sapone, il consiglio nostro è di evitare di osservare questa pratica, come se si lavasse l’auto.
Meglio tamponare con tessuto pulitissimo, o ovatta, con un goccio di alcool, e passare delicatamente, magari più volte ma lasciando passare un po' di tempo tra un passaggio e l’altro
Senza vernice, invece, meglio non toccare proprio il dipinto, ma in questo caso significa fregarsene del proprio lavoro, e quindi non ci sono problemi
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